Non è una mia impressione, ma un sentimento diffuso che un certo tipo di politica, quella legata a vecchi schemi, abbia una sorta di pudore, direi meglio di timore, a parlare di lavoro.
Diciamolo senza particolari giri di parole: è il segnale che un certo modo di concepire la politica ha fatto il suo tempo.
Se un politico oggi preferisce un linguaggio ed argomenti più comodi, se si ha paura di parlare di lavoro perché magari si teme il giusto contradditorio è una resa senza condizioni che personalmente non intendo accettare.
Una generazione politica che intende proporsi come nuova non può fare a meno di due elementi: la critica e la proposta.
Una generazione politica che si propone come innovativa non può fare a meno di mettere al centro della sua attività le politiche attive per il lavoro.
Preferisco il termine politiche attive per il lavoro e non mercato del lavoro che non mi convince.
Non è solo una questione linguistica. Quello che nel recente passato è stato definito "mercato del lavoro" con tutta una serie di nuovi indirizzi legislativi mai applicati o scarsamente applicati ha rivelato, nel corso degli anni, tutta la sua fragilità.
Cosa ha portato tutto il mosaico di referenti, fonti di finanziamento, procedure, tempi di attuazione rispetto all'incrocio domanda - offerta lavoro?
E' rimasto tutto sulla carta.
E mentre la domanda di lavoro si è ampliata sempre di più comprendendo nuove fasce di soggetti - penso ad esempio ai quaranta - cinquantenni espulsi dal percorso lavorativo - l'offerta si è ristretta sempre di più, complice un lungo ventennio di buio governativo che ha portato questo paese al disastro.
Rimettere al centro del discorso politico le politiche attive del lavoro rappresenta una assunzione importante di responsabilità da parte di chi fa politica.
In questa partita decisiva nessuno si deve chiamare fuori, anche rispetto agli errori commessi nel passato.
Un tema, quello del lavoro, sul quale siamo disponibili come nuova classe politica a dare il nostro contributo.
Purtroppo altri, su questo tema, preferiscono defilarsi.
Non lo fa, e ne siamo particolarmente contenti, il sindacato che viceversa pone l'accento sulla opportunità di varare un piano per il lavoro che sia in grado di fornire risposte alle differenti problematiche che fanno riferimento al mondo del lavoro ma che hanno svariata provenienza: disoccupati, disabili, immigrati, assistenza alle imprese, formazione.
Perché programmare per il lavoro, lo dico senza ombra di polemica, non può essere soltanto la pur legittima difesa dell'articolo 18.
In questo ragionamento non si può non porre il ragionamento sul mezzogiorno ed in particolare sulla Calabria.
Non si può non mettere al centro del ragionamento a difficile realtà del nostro territorio complicata da una crisi occupazionale senza precedenti ed aggravata dall'assenza di qualsiasi misura da parte del Governo Regionale.
Ecco, dunque, la necessità di una seria programmazione che vada nella direzione di avere efficaci azioni a sostegno del nostro territorio e che favoriscano l'inserimento occupazionale soprattutto delle giovani generazioni.
Su questo tema, l'esperienza permette ormai di parlare di una responsabilità sociale da condividere.
Non un unico soggetto a guida di un processo, ma la condivisione di responsabilità da parte di tutti quegli attori che attivamente influenzano e sono influenzati dalle reciproche attività, andando a determinare, con le loro azioni e sinergie, effetti positivi sul contesto di riferimento.
Se però, parlando in termini più brutali, da una parte si propone, ma dall'altra continuano ad esserci dei sordi c'è poco da fare.
I concetti di responsabilità sociale stanno avendo una progressiva diffusione nell'ambito delle politiche europee, nazionali e locali e rappresentano sempre più spesso il presupposto per lo sviluppo di politiche, progetti e azioni concrete sul territorio.
In questo contesto però vincolare la responsabilità alla singola istituzione significa stritolare le speranze di un territorio.
Noi abbiamo necessità di un Governo centrale che ci ascolti, che condivida il percorso ed auspichiamo che questo nuovo Governo possa realmente farlo.
Abbiamo bisogno di una governo regionale meno evanescente.
Abbiamo, tuttavia, anche bisogno di un sindacato che non si limiti ad enunciazioni di merito.
Il lavoro è centrale nella vita di tutti.
Non a caso l'articolo 1, non il centotrentesimo, della Costituzione dice che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
Buon Primo Maggio a Tutti
Arturo Crugliano Pantisano
Presidente del Consiglio Comunale