IL CATASTO ONCIARIO
Il Catasto Onciario, che rappresenta la più antica forma di misurazione fiscale, non è un vero catasto, ma è più simile ad una dichiarazione dei redditi (Apprezzo), in cui sono censiti tutti gli abitanti maschi, che vengono tassati sul guadagno dichiarato, e a cui segue un accertamento (Rivela).
L'Oncia, presa come unità monetaria è un'entità puramente fittizia, in quanto misurabile sull'antico Asse romano, non più in uso da svariati secoli.
Esso fu voluto da Carlo III° di Borbone, con dispaccio dal 4 Ottobre 1740, e con Prammatica del 14 marzo 1741.
Crotone fu una delle prime città a formare il catasto Onciario dal 1740 al 1743, cosa spiegabile col fatto che essa era città Regia. La rilevazione di questo primo catasto ha inizio a Crotone nel settembre 1741, dopo pochi mesi dalla prammatica reale, essendo Sindaci della città Francesco Antonio Suriano e Giuseppe Grasso, proseguì sotto il sindacato di Carlo Berlingeri e Onofrio Suppa, e si concluse essendo Sindaci Francesco Antonio Sculco e Gregorio Cimini.
Questo catasto della città di Crotone è conservato presso l'archivio di Stato di Napoli; l'Archivio Comunale di Crotone ne possiede una copia microfilmata.
Possiede invece una copia dei catasti Onciari successivi dal 1788, del 1795, del 1805.
Il fine del Catasto Onciario è quello di pervenire ad un più razionale sistema di ripartizione fiscale.
Dalla sua lettura può ricavarsi un quadro socio economico del periodo piuttosto attendibile, dal momento che fornisce nome, età, mestiere e provenienza dei redditi di tutti i cittadini maschi.
Per quanto riguarda i beni immobili, invece, la descrizione è piuttosto scarna e sommaria e l'unico metodo identificativo per le case dell'abitato del centro storico è la loro appartenenza alle parrocchie.
Per i terreni è importante l'identificazione dei toponimi, spesso unico aggancio con le carte antiche.
Oltre alle Bonetenenze dei privati cittadini, nobili, honorati o plebei, sono riportati nel catasto anche i beni ecclesiastici.
I vari elenchi dei luoghi pii, e gli inventari dei loro beni, indicano che insieme alla nobiltà, il Primo Ceto - che amava ostentare il proprio prestigio con l'erezione di blasonati altari e cappelle nelle chiese cittadine, mostrava una certa vivacità anche il ceto popolare, Terzo Ceto, in particolare attraverso le proprie organizzazioni di artigiani. Il Secondo Ceto era quello degli Honorati, a cui appartenevano possidenti e professionisti.
Era censito un solo marinaro, tra l'altro fuoco acquisito, cioè proveniente da altra città (per fuoco si intendeva il focolare domestico, e quindi una famiglia) e si può notare come il mare fosse considerato poco più che un elemento di causalità geografica, mentre oltre il 50% della popolazione attiva era dedita a mestieri legati all'agricoltura.
Attorno a pochi possidenti (proprietari terrieri) ed amministratori (massari), vi erano una grande quantità di braccianti agricoli (bracciali) e tanti lavoratori legati all'agricoltura: molinaro, ortolano, paliatore di grano, vignero, faticatore di campagna, cavallaro, custode di vacche.
I mietitori erano invece lavoratori stagionali, che in altri periodi fanno altri mestieri, e vengono dai paesi montani circonvicini.
Anche gli artigiani, ferrari, calderai, falegnami, sellari, ecc., lavoravano a provvigione per i grandi proprietari, spesso in maniera ambulante, essendo concentrati i mestieri per lo più in zone specifiche, come i calderai a Dipingano e Lauria, i conciatori e sallari ad Acri.
DELIBERAZIONI DEL DECURIONATO
All'inizio dell'Ottocento, il Comune comincia ad essere inteso nella maniera moderna di comunità locale con propria amministrazione, ed è retta dal Decurionato, rappresentato dal Sindaco: sia il Sindaco che i Decurioni erano scelti dal potere esecutivo in una lista di eleggibili, formata da coloro che avevano un reddito elevato, ed erano nominati dal re. Accanto al Sindaco, svolgevano le proprie funzioni di 1° e 2° eletto nominati all'interno del Decurionato, che discuteva i problemi locali concernenti la gestione del Comune e faceva proposte all'intendente, una specie di Prefetto, che era il capo dell'amministrazione civile e finanziaria della Provincia.
Crotone faceva capo alla provincia denominata Calabria Ultra.
CARICHE REGIE
-Cappellano del castello
-Chirirgo del castello e dello Spetale militare
-Comandante dell'artiglieria
-Capitano del porto
-Aiutante Capitano del Porto (addetto alla vigililanza dei forzati)
-Guardia magazzino
-Castellano (1799 D. Carlo Favillard)
-Commissario di Guerra
-Guardia lanterna
-Dottor Fisico (medico)
-General Parlamento (odierno Consiglio Comunale)
-Governo dell'Università
-Decurionato /restava in carica 5 anni, eletto per suffragio universale) (esclusi: condannati, donne e bambini)
-Sindaco dei Nobili (Presidente)
-Sindaco degli Honorati (Coordinatore) duravano in carica 1 anno
-Sindaco del Popolo (Coordinatore)
-Eletti (odierni Assessori, scelti dal Decurionato)
MASTORIURATI
-Cancelliere
-Segretario
-Archiviario
DEPUTAZIONI
-Deputato alla salute
-Deputato annonario o alla grassa
-Deputato alla formazione del catasto e cedole
-Numeratori degli animali
-Deputato alla pulizia
Il sistema di votazione dell'Università proveniva dagli Svevi, fu ristretto dagli Angioini e allargato dalle altre dominazioni.
Le adunanze popolari avvenivano "ad pulsum campanae".
La casa della Regia Corte ritrovava nella Piazza del Duomo, (Pal.Cantafora) e così la Casa Pubblica col Sedile del glorioso protettore S. Dionigi l'Aeropagita.
UFFICI DI COMPETENZA DEL DECURIONATO
-Catapania
Ufficio esercitato sopra la grassa (condimento)
-Meta
Si stabiliva la meta, prezzo di calmiere, per carne, olio e cereali.
Quella dei cereali era costituita dal prezzo medio in cui veniva venduto il grano nel periodo 1 Luglio/31 Agosto di ogni anno e si fissava il giorno della Maddalena (22 luglio)
-Ratizzo del giorno per panificazione
(nei magazzini dell'Università)
-Revisione dei conti dei monti cittadini
(Monte Misciascio, Pio Monte dei Maritaggi di S.Silvestro; Monte dei Maritaggi Mazzulla, fondato nel 1655 che ha come proprietà i fondi di Amerì e Passovecchio.
IL PREMIO CROTONE
Sul finire degli anno '50 si comincia a pensare ai bisogni troppo a lungo trascurati, quali quelli culturali. Si fa strada l'idea di istituire un Premio letterario "Città di Crotone" che prese forma grazie al sostegno dell'allora Segretario Regionale ed Partito Comunista, Mario Alicata, che aveva preziosi contatti con gruppi intellettuali della sinistra italiana.
Il premio fu formalmente istituito con Deliberazione di Consiglio Comunale del 4 Aprile 1952, e si proponeva di fornire, mediante l'erogazione annuale di un milione, "da conferirsi in annate alterne una volta ad un'opera letteraria riguardante la condizione meridionale, ed un'altra ad un'opera tecnico-scientifica riguardante la valorizzazione del suolo e di ognialtra risorsa della Calabria" un fattivo contributo all'annosa questione della nascita del Mezzogiorno" allo scopo di stimolare "quelle forze che possono validamente concorrere a mantenere sempre vivo e possente tale vitale problema" nella considerazione che di dette forme è indubbio che la più efficace è quella del pensiero, sia sotto forma letteraria che tecnico-scientifica.
Per varie difficoltà, la prima edizione si svolse solamente nel 1956.
Prestigiosi i nomi che si avvicendarono a far parte della giuria: Concetto Marchesi, Mario Sansone, Fiacomo De Benedetti, Giorgio Bassani, Carlo Emilio Gadda, Alerto Moravia, Giuseppe Ungaretti, Rosario Villari; prestigiosi anche i premiati: Leonardo Sciascia, Pier Paolo Pasolini, Davide Lajolo, Gaetano Salvemini; tra gli intervenuti si ricordano: Vanni Schewiller, Mondadori, Elsa Morante, Mario La Cava ed il giovanissiomo Walter Pedullà. Furono premiati Pasolini, con Una vita violenta, destando degnate polemiche; Salvemini con scritti sulla questione meridionale, De Martino con Sud e magia; Elemire Zolla con Eclissi dell'intellettuale; Sciascia con il Giorno della civetta; Maria Corti con l'ora di tutti; tutte le opere che hanno avuto vasta risonanza nel panorama letteraio nazionale.
Evento di sprovincializzazione e di scambio culturale, il premio "Città di Crotone" ebbe vita troppo breve e chiuse nel 1962.
STEMMA CIVICO
Lo stemma della Città di Crotone, riconosciuto con Regio Decreto del 30 Aprile 1903, trascritto nel libro araldicodegli enti morali al vol. I pag. 28, è così descritto: "D'Azzurro al tripode d'argento, con due serpi uscenti dalla coppa ed addossati, linguati di rosso, colla campagna di rosso, carica della sigla Q.D.O. (KRO) in caratteri arcaici graci in argento: con una fascia d'oro attraversante sulla spartizione. Lo scudo sarà cimato da un cerchio di muricciuolo d'argento e posto tra due rami, a destra d'alloro, a sinistra di quercia fruttati divergenti e decussati sotto la punta dello scudo stesso".
Il simbolo della città odierna è dunque il tripode delfico, già raffigurato sulle monete crotoniate del VI sec. A.C. ad indicare l'origine della città di Crotone: fondata da colono Achei, in esecuzione di un oracolo della Pizia del tempio di Apollo a Delfi.
IL LIBRO DEI PARLAMENTI
La Città di Crotone, fin dal periodo rinascimentale, era divisa in ceti: i Nobili, gli Honorati, i Plebei ed era amministrata da Sindaci e dagli Eletti del ceto nobile e del ceto popolare. La comunità cittadina era chiamata Università, nel senso latino di Universus personarum o universus civium, ed era intesa nel senso giuridico di organizzazione di persone, minita di personalità giuridica, e capace di essere punto di riferimento unitario di situazioni giuridiche.
Anche la carica di Sindaco non aveva il significato attuale di capo dell'Amministrazione Comunale, ma rassomigliava piuttosto al ruolo di funzionario pubblico, ed infatti poteva essere attribuita a più persone insieme, limitatamente ad alcuni affari particolari o con compiti di ambasceria ( sindacus ad aliquam rem).
Ci sono memorie storiche di vari sindaci e procuratori della città, recatisi come ambasciatori a Napoli, presso loa Regia Corte, per richiedere la concessione di privilegi alla Città di Crotone o la conferma di privilegi già concessi.
Si ricorda, particolarmente, che nel 1541, la Città fece dono all'Imperatore Carlo V di 3000 scudi, ed il vicerè del tempo, il cardinale Colonna, in esecuzione di una lettera dell'Imperatore inserì mel privilegio e nell'atto notarile, stipulata per la ricevuta del denaro, la clausola di vendere la città alla stessa cittadinanza, e di assumere il solenne impegno che non l'avrebbe mai più concessa a feudatari, sia per ragioni di riconoscenza, sia perchè ne aveva fatto una Regia fortezza. In quell'occasione erano intervenuti come Sindaci della Città, Stefano Suriano, Giovanni Velez de Tappia, Giovanni Antonio Mazza.
L'Università era retta da un organismo che potrebbe essere assimiliato alla moderna Giunta Comunale composto, per la parte dei Nobili, da un Sindaco e da tre Eletti. Il General Parlamento, che corrispondeva al Consiglio Comunale, era convocatoad pulsum companae. La votazione circa le proposte risolutive dei vari problemi e relative alle nomine, avvenivano a voto segreto, ponendo nell'apposita una biglia bianca o nera, che indicava se il voto era faorevole o contrario.
La presenza di Sindaci ed Eletti dei ceti popolari non deve trarre in inganno e far pensare ad una gestione democratica della vita amministrativa cittadina, infatti se per il ceto nobiliare le sole persone eleggibili erano i membri delle famiglie nobili, iscritte al Seggio dei Nobili di S. Dionigi per il ceto popolare, così ci rende edotti Nola Molise "Dico anco un'altra prerogativa antica di questa città, perchè il Sindaco ed eletti, che in altre città vengono dette del Popolo , in questa sono detti dell'Honorati, fra i quali vi sono famiglie, che per più di duecento anni hanno vissuto nobilmente senza far'arte veruna, vivendo delle loro entrate, come tutti i nobili del Seggio, ma perchè non l'è stato permesso entrare in quello, sono stati forzati asercitar sempre l'officjj popolari". Ed aggiunge " Vi sono anora molte altre famiglie, che non godeno al Seggio, né meno si sono mischiati nel governo popolare, perchè godendo forse nobiltà in quella città, donde sono venuti, ancorchè accasati in questa città, forse con persone nobili del Seggio, e non ancora aggregati, non hanno vouto perciò intromettersi in officio di governo pubblico popolare, per non pregiudicarsi".